venerdì 1 giugno 2012

Cariti

Antonia Calabrese
Cariti (2012)
olio su tela cm. 40×60 


Dee benefiche dell’antica Grecia, le Càriti, che i Romani nominavano Grazie, erano personificazioni della grazia e della bellezza e loro dispensatrici. Esse incarnano la piena realizzazione cui l’essere umano dovrebbe tendere e i tre attributi della perfezione del carattere femminile nell'ideale classico. Secondo la mitologia greca, erano figlie di Zeus ed Hera oppure, di Zeus e della Ninfa Oceanina Eurinome, colei che regna sugli spazi, figlia a sua volta dei due titani Oceano e Teti, la quale sarebbe stata terza moglie di Zeus. Secondo alcuni autori, invece, le Cariti sono nate dal Dio Sole, Elios, e dall'Oceanina Egle ma, altrettanto presa in considerazione è la versione che le vuole figlie della Dea della bellezza e della fertilità, tanto umana quanto animale e vegetale, Afrodite, la quale le avrebbe generate insieme a Dioniso. Il loro culto fu legato alla natura e alla vegetazione fin dalle sue origini e furono ben presto ricomprese fra le divinità apollinee ed accomunate alle Muse. Erano le dee della venustà e della vita gioconda e serena e secondo Esiodo erano tre: Eufrosine, la Gioia e la Letizia; Aglaia o Aglea, lo Splendore e l’Ornamento; e Talìa, la Prosperità e la Pienezza, la Portatrice di fiori. A Sparta se ne veneravano solamente due, Cleta, l’Invocata e Faenna, la Lucente, e così pure ad Atene: Auxo, La Crescente ovvero, Colei che favorisce la crescita, ed Egemone, Colei che guida o che precede. Le Cariti sono anche le Dee dell’esultanza di vivere e quelle che infondono la gioia della natura in uomini e Dei. Vengono solitamente raffigurate danzanti, nude o coperte da veli, con i simboli degli strumenti musicali e dei rami di mirto e di rose.
  
Alle Grazie immortali le tre di Citerea figlie gemelle è sacro il tempio, 
e son d'Amor sorelle; nate il dì che a' mortali beltà ingegno virtù concesse Giove 
onde perpetue sempre e sempre nuove le tre doti celesti e più lodate e più modeste ognora le Dee serbino al mondo. Entra ed adora ". (Ugo Foscolo).

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