sabato 2 giugno 2012

Bacco

Antonia Calabrese 
Bacco (2010)
tempera e acrilico a gouache su tela cm. 40×50 

Per i Greci, Dioniso era il Dio della vegetazione, del vino e dell’estasi, il quale insegnò ai mortali la viticoltura e la vinificazione. Il suo nome presso i romani divenne Bacco, cioè “colui che strepita”, per via del fracasso e delle grida che facevano i suoi seguaci. A partire dal V secolo a.C. fu conosciuto presso i Greci anche con il nome di Bacco che in greco significa "clamore", e “baccanti” furono definiti i suoi seguaci. I baccanti lo invocavano durante i “misteri” a lui dedicati, riti nati probabilmente dalle feste di primavera e divenuti un'occasione per abbandonarsi al vino e alle licenziosità. Dioniso venne spesso raffigurato con in mano un corno per bere, cinto di tralci di vite. Era ritenuto la divinità ispiratrice di un culto estatico ed orgiastico e le sue seguaci, le menadi, lasciavano le case e vagavano nei boschi celebrandolo nell'ebbrezza, al limite della ferinità e della violenza. Fu in questa forma che il culto di Dioniso si diffuse presso i Romani, dove i suoi misteri furono chiamati, nel II secolo a.C. “Baccanali”, appunto, e divennero col tempo tanto sfrenati da incorrere nella proibizione del Senato Romano nel 186 a.C. Tuttavia i misteri di Dioniso rimasero ancora popolari per almeno altri trecento anni. Secondo la tradizione, Dioniso moriva ogni inverno per rinascere in primavera, simboleggiando, con la rinascita ciclica e la ricomparsa dei frutti sulla terra, la promessa della resurrezione dei morti. Secondo la trasposizione più nota del mito, Dioniso era nato dall'unione di Zeus con Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe. Per avvicinare la donna, l’immortale Zeus le aveva tenuto nascosto il suo vero aspetto, ma ella, fomentata da Era che agiva mossa da gelosia, gli chiese di poterlo contemplare nella sua divina forma e così, essendole il Dio del cielo luminoso, apparso con la folgore, ne restò incenerita. Allora, Zeus volle salvare dal corpo di Semele il nascituro Dioniso e, lo ricucì nella propria coscia, portandone a compimento la gestazione. Quando il neonato fu venuto a luce, Egli lo affidò alle ninfe del monte Nisa affinché lo allevassero. Dioniso crebbe così nei boschi, in solitudine, educato da Sileno e avendo piantato la vite, s’inebriò del suo umor. Secondo un inno omerico, Dioniso era “Il giovanotto con la bella capigliatura azzurra ondeggiante e un mantello scuro sopra le forti spalle". Bacco insegnò agli uomini la viticoltura viaggiando per il mondo su di un carro trainato da pantere, metafora d'irrazionalità, con al suo seguito un corteo di musici, danzatrici, baccanti e divinità minori.  Bacco è descritto come eternamente giovane e su di lui esistono molte leggende in alcune delle quali si presenta mite, suscitatore d’entusiasmo e benevolo consolatore delle afflizioni umane in virtù del vino che allieta il cuore e libera dall'inibizione; in altre, viene fatto pervenire all'immaginario collettivo come violento e crudele. 

Inno a Bacco

Donzelle e giovani entro i panieri
recan su gli òmeri grappoli neri ;
ma solo i giovani calcan nel tino
l’uva e ne spremono il dolce vino.
Festici cantici alzano al Nume
e lieti guardano sorger le spume.
Ne beve il vecchio e in pigro moto
saltando i canditi capelli scuote.
Già l’ebro giovine insidie tende
a vergin tenera che al suol si stende,
e su le foglie in loco ombroso
con sonno placido prende riposo.
Allora invitata dolce d’amore,
il dardo a vincere vano pudore.
S’ella resiste tenta a sue voglie,
il fior di Venere a forza coglie.
Se Bacco a i giovani discende in seno,
si fanno indomiti e senza freno. (Anacheronte)

Trionfo di Bacco e Arianna

Quant'è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Quest'è Bacco e Arianna,
belli, e l'un dell'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'e certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto sia:
di doman non c'è certezza.
Queste ninfe anche hanno caro
da lor essere ingannate:
non puon fare a Amor riparo,
se non genti rozze e ingrate:
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l'asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d'anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,                        
s'altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi siam, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Donne e giovìnetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c'ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza. (Lorenzo De'Medici)

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