domenica 2 settembre 2018

Canto libero

Antonia Calabrese, "Canto libero" (2018), 
olio su tela cm. 90 x 60.
Canto Libero di Antonia Calabrese

Il dipinto rappresenta il concetto di Libertas, antica divinità della religione romana, simbolicamente figurata dal gatto che, nella fattispecie, è il mio. Un gatto infatti, era sempre raffigurato disteso ai piedi della dea simboleggiante la libertà di andare e venire a proprio piacere. Prima di assumere valenza sociale, quello di “libertà” fu un concetto sacro e prerogativa esclusiva di chi fosse in possesso della cittadinanza romana. L'iconografia sacra mostrava la dea Libertas seduta e affiancata dalle divinità di Abeona e Adeona, personificazione l'una, di “Colei che va” e l'altra, di “Colei che torna”. Le peculiarità e le prerogative di queste due dee, furono assorbite nel corso del tempo da Giunone. Nel mio dipinto, appare Giunone con lo scettro adornato da fiori di cuculo e coronata di oro; ai suoi piedi un gatto, simbolo appunto, come detto prima, di Libertas; con ciò significando che autorità e grazia, costituiscono il potere femminile e che la donna diviene libera quando è realmente consapevole di se stessa. Minerva, armata di corazza, elmo e lancia d'oro le sta di fronte, volendo significare che la forza deve essere bilanciata dalla saggezza e che il potere deve essere gestito con sapienza e dolcezza. In alto, un'aquila dalle piume d'oro rappresenta Giove, Re degli dèi e autorità suprema; con ciò conchiudendo la triade del culto romano, costituita appunto, da Giove, Giunone e Minerva. Sullo sfondo in alto, il Dio Sole, è raffigurato con un sole radiante e ciò è completa libertà: tutto alla luce del sole e nulla di nascosto. Al centro della composizione c'è il mio autoritratto, con lo sguardo rivolto in alto, a ciò che è invisibile ai sensi umani ma è chiaro allo spirito. La fotografia, purtroppo, non rende la brillantezza dei colori e quelli che sembrano tonalità di marrone e bruno sono in realtà, gradazioni dell'oro
La particolarità di questa mia opera è che si tratta, fino ad oggi, del mio unico autoritratto.
Mi riferisco al volto al centro, fra l'aquila, simbolo di Giove, il gatto, simbolo della dea Libertas, Giunone e Minerva rispettivamente alla destra e alla sinistra.
Si tratta di un'opera di "mutazionismo evocativo" che vorrebbe rappresentare e descrivere senso del dovere e aspirazione al divino, saldamente fermi sull'idea di libertà.
Nel dipinto le suddette qualità sono doppiamente espresse nella giunonica dolcezza e e nella femminile saggezza. Saggezza arrendevole e al tempo stesso combattiva.
Lo sguardo è rivolto verso l'Alto, il più alto dei cieli, rappresentato dal Santissimo, il Sole.

Triade capitolina
La diffusione del culto della Triade, costituita da Giove, Giunone e Minerva, fu, pare, l’espressione della volontà politica di Roma di definire un gruppo di divinità superiori che rappresentassero la sua magnificenza anche dal punto di vista religioso. Più precisamente, al culto di Giove Capitolino, con gli epiteti di Optimus e di Maximus, si aggiunsero quello di Giunone Regina e di Minerva, protettrice delle arti, con l'epiteto di Augusta. In Campidoglio fu edificato un tempio dedicato alla Triade, provvisto di tre celle parallele nelle quali furono poste le statue delle tre divinità, con Giove seduto sul trono, coi fulmini in mano e Minerva alla sua destra e Giunone alla sua sinistra. Di sicuro questo tempio esisteva già nel 390 a.C., all'epoca  dell’invasione di Roma da parte dei Galli
E’ possibile che il culto della Triade passò dall'Etruria a Roma. Gli etruschi, dedicarono santuari a Tinia, corrispettivo di Giove, a Uni corrispettiva di Giunone e a Menrva, corrispettiva di Minerva. Nella religione greca, la corrispondente  Triade è costituita da Zeus, Era ed Atena.

Giove

Giove, in latino Iupiter o Iuppiteraccusativo Iovem, o Diespiter, è il Dio per eccellenza, la divinità suprema del Pantheon romano e il  re di tutti gli dei. Suoi simboli sono il fulmine e il tuono ed è’ considerato figlio di Saturno e Opi
Gli erano tributati numerosi epiteti ed era considerato, col nome di Giove Ottimo Massimo, Nume tutelare dello Stato romano. Gli era consacrato proprio in  Roma il suo santuario principale, sul Campidoglio
Gli veniva tributato un importante culto al quale era consacrato il flamine maggiore denominato Flamine diale, il quale ricopriva un ruolo di esclusiva influenza e sacralità in quanto considerato alla stregua di una incarnazione di Giove, di cui celebrava i riti. Il flamine diale beneficiava di grandi onori e però, proprio in virtù della sua funzione, era soggetto a limiti e divieti fra i quali vi era che non poteva allontanarsi da Roma per più di un giorno, più tardi due, e non poteva dormire fuori dal proprio letto per più di tre notti. 
A Giove erano riferiti i presagi che si desumevano dal volo degli uccelli e dai segni che si constatavano come apparsi in cielo. Il culto di Giove si celebrava di norma su luoghi elevati e sulle alture, colli e monti. Egli era innanzitutto il dio dei fenomeni celesti, della pioggia, del fulmine, della tempesta, ma era anche custode del giuramento e della fede e dell'ospitalità e della santità del matrimonio. Era inoltre protettore dei trattati internazionali. 
Con innumerevoli epiteti era venerato in tutto l’impero e gli erano attribuiti infinite peculiarità e culti al punto che in alcune località ebbe, con appellativi diversi, tributate pratiche devozionali che sembrerebbero svincolate dal culto romano. 
Nel mio dipinto, Canto libero, Giove è rappresentato dall'aquila a lui sacra. 

Giunone

Divinità latina e romana, la cui antichissima venerazione fu diffusa su larga scala fra le comunità di stirpe italica, laziale ed etrusca. Sorella e sposa di Giove, fu considerata dea dell'atmosfera e della pioggia. Le erano sacri la cornacchia, la capra e il cane. Nel Lazio fu considerata dea lunare, da cui gli epiteti di Lucina e di Lucetia coi quali era supplicata. Le donne la invocavano durante il parto col nome di Giunone Lucina, cioè, colei che aiuta il neonato ad uscire dal grembo materno, lo porta alla luce. In Italia, Giunone rivestì un ruolo determinato e nettamente distinto da quello del compagno e sposo divino, sia nell'ordine naturale del cosmo che nell'ordine sociale e pur mantenendo il suo posto accanto a lui nella Triade, tanto dal punto di vista religioso che da quello culturale, fu sempre  inferiore a Giove.
Sotto l'influenza della mitologia greca, Giunone fu assimilata alla greca Era e le fu di conseguenza attribuita una genealogia che la volle figlia di Saturno e di Opi e sorella di Giove.
Fatta coincidere, dunque, in quanto sposa del dio del cielo, con la dea dell’astro del cielo notturno, Giunone entrò in relazione coi cicli lunari e femminili. Sempre per via della sua natura lunare, inoltre, la si pose in relazione col calendario che era regolamentato dalle fasi della luna, e le furono consacrate le Calende, il primo giorno di tutti i mesi dell'anno. Fu così appellata col titolo di Iuno Kalendaris.
In quanto sposa di Giove, fu considerata madre e matrona per eccellenza e pertanto patrocinava tutte le fasi della vita femminile: dalla riproduzione della specie alla pubertà, al matrimonio, alla fecondità. Col nome di Viriplaca, ad esempio, le si attribuiva la capacità di riportare la pace fra marito e moglie. 
Ma Giunone era invocata per innumerevoli funzioni, tra le quali quelle di Iuno Sispes o Sospita (propizia e protettrice) e Mater Regina, con cui assurse in Roma al grado di divinità politica entrando a far parte con Giove e Minerva della Triade Capitolina che prese il posto dell'antica triade costituita da Giove, Marte e Quirino.
Col nome di Giunone Moneta, cioè "la dea che avverte" o "quella che fa ricordare", le era tributato un culto sulla Cittadella, l'Arx, la sommità nord-est del Campidoglio, in quanto le si attribuiva la salvezza di Roma durante l'invasione dei Galli, nel 390 a.C. quando le oche sacre a Giunone avevano risvegliato Manlio Capitolino il quale, alla testa dei difensori, respinse l'attacco dei Galli.


Minerva

Antica divinità romano-italica che avanti di essere fatta coincidere con la greca Atena ebbe una propria originalità, culto e caratteristiche proprie. 
A Minerva furono consacrati a Roma molti templi e sacrari. Il culto di Minerva nella religione romana, prima di subire l'influsso di Atena Poliade, ebbe carattere pacifico e sociale ed ella era considerata ideatrice delle arti e dei mestieri e protettrice di ogni attività dell'ingegno. 
Minerva, presiede non solo alla guerra e alla strategia militare, ma a tutte le attività intellettuali. E’ considerata figlia di Giove e di Meti, ed è la vergine divinità della guerra giusta, della saggezza, dell'ingegno e delle arti utili come l’architettura, l’ingegneria, la scienza, la medicina, la matematica, la geometria, l’artigianato, la tessitura etc. E’ inventrice del telaio, del carro e di svariate altre cose. I suoi simboli sono il gufo e la civetta, l'ulivo, l'egida e una lancia nuova. 
Il suo nome italico apparve già nella forma arcaica di Menerva, con la variante etrusca di Menrva. Letimologia del suo nome si fa risalire alla radice manas, dal latino mens e memini. L'origine del culto di Minerva è ignoto e sembra non appartenere ai primordi della religione romana. Pare che nel culto ufficiale romano la sua venerazione derivò da quello degli dèi indigeni (Dii indigetes), nella fattispecie da quello di Mens. Si ritiene da parte di alcuni studiosi che il culto di Minerva fu introdotto a Roma già al tempo dei Tarquini, insieme a quello di altre divinità straniere, i Novensides, i "nuovi arrivati". Può darsi che fu l’assimilazione fra l'Atena greca e la Minerva italica, a determinare il passaggio di Minerva dal gruppo degli dèi indigeni a quello degli dèi maggiori (Dii Consentes).  Antichi culti dedicati a Minerva si riscontrano infatti, sia presso i Latini di Roma e di Faleri, che presso i Sabini di Orvinio e presso gli Etruschi. Grande fu l'importanza che Minerva venne assumendo nel corso del tempo, tanto  nel culto quanto nella letteratura e nelle arti, sia in Italia che nelle province dell’impero.

Libertas

Libertas, personificazione della Libertà, pensata già in tempi arcaici come Potenza divina, Numen, era una divinità dell’antica Roma. Ella simboleggiava la libertà personale di ciascuno, diritto riservato a coloro che godevano della cittadinanza romana. I Romani le rendevano tributo con sacrifici e statue e le consacrarono templi sul Palatino e sull'Aventino. Il suo culto fu sì caro ai Romani che la rappresentarono  anche sulle loro monete. Raffigurata come una matrona romana, gli artisti la rappresentarono incoronata d'alloro e vestita di bianco, reggente uno scettro in una mano e un berretto frigio nell'altra. Ai suoi piedi vi era un gatto sdraiato, simbolo della libertà di vagabondare a piacimento, e un giogo ridotto  in pezzi. Abeona, dea protettrice delle partenze, e Adeona, dea protettrice del ritorno, le erano poste ai lati, a evidenziare che la Libertas è sciolta da vincoli e può andare e tornare come vuole. Abeona e Adeona fanno parte del gruppo dei Di indigetesdèi indigeni, spiriti della religione romana  il più delle volte manifestazione o personificazione di una qualità astratta. 
Nel mio dipinto, Libertas è rappresenta dal gatto a lei sacro. 


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