sabato 29 aprile 2017

Somnus

Antonia Calabrese 
Somnus (2010) 
gouache su tela cm. 40 x 60
Collezione privata


Somnus, Dio del Sonno e personificazione di esso, secondo la religione romana era una divinità benefica che donava il sacrosanto riposo e l'oblio dagli affanni, col suo nerbo magico. La corrispettiva divinità nella mitologia greca, era Hypnos, Ipno, che ha il potere di addormentare tanto gli uomini quanto gli dei. Suoi genitori sono Erebo, la romana Tenebre, e Nix, Notte. I poeti, lo vagheggiarono con la loro fantasia come dotato di ali, riposarsi in una buia caverna accanto al fiume Oblio. Era rappresentato sovente come un giovane dal capo alato, con una fiaccola spenta e capovolta in una mano e un corno pieno di soporifero nell'altra; ovvero, con una verga capace di addormentare chi tocca e un papavero ipnotico in mano. Secondo l’Iliade, suo fratello gemello è Tanato, la Morte, di cui incarna il concetto opposto: spaventosa la Morte, benevolo e dolce il riposo donato da Hypnos. Nella mitologia greca, Ipno ebbe molti fratelli, alcuni dei quali, più che divinità, sono la personificazione di concetti astratti, ciascuno dei quali ha il suo corrispettivo nella mitologia romana. Essi sono: Moros, il Fato, il destino avverso; Etere, l'Aria; Geras, la Vecchiaia; Ker, l'Assassinio, la morte violenta; Eris, la Discordia; Oizys, la Miseria; Nemesi, la Vendetta; Philotes, l'Amicizia; Apate, l'Inganno; Momo, il Biasimo, che fu scacciato dall'Olimpo da Zeus per averlo disapprovato duramente insieme alla Tenerezza, e Oneiros, il Sogno; e ancora, la Gioia e la Pietà, le tre Esperidi, Caronte e le tre Moire. Secondo la mitologia romana, dimorava in una tranquilla grotta nel paese dei Cimmeri, circondato dai Sogni. Ebbe figli dalla Notte, fra cui Morfeo, il famoso Dio dei sogni, e Icelo, Fobetore e Fantaso. Secondo alcuni, Ipno era sposato a Pasitea, una delle Cariti, che gli era stata data in moglie da Era, la quale gliel'aveva promessa se avesse addormentato Zeus, il che egli fece trasformandosi in un uccello; così ad esempio narra Omero.
Nemica di Eracle, Era, come narra il canto XIV dell’Iliade, ottenne che Ipno facesse addormentare Zeus per potersi vendicare dell’invincibile eroe e affinché Poseidone potesse aiutare i greci, nonostante il divieto del Re dell’Olimpo. Zeus, infuriato al risveglio, scaraventò Ipno in mare, il quale poi, però, fu raggiunto e soccorso da sua madre Nix. Ipno, dunque, secondo alcuni, risiedeva con Pasitea nell'isola di Lemno, mitica regione avvolta eternamente dalla nebbia. Secondo Esiodo, invece, viveva nelle terre sconosciute dell’ovest. In ogni caso, generalmente si immaginava che il luogo sconosciuto in cui Hypno viveva, fosse deserto e non raggiunto dalla luce del Sole, quasi certamente sotterraneoEssendosi innamorato di Endimione, le fece dono della facoltà di dormire ad occhi aperti.

martedì 25 aprile 2017

Penati


Antonia Calabrese 
Penati (2010) 
gouache su tela cm. 50 x 70.
Collezione privata

I Penati sono antiche divinità della religione  romana,  considerate protettrici della casa, della famiglia e dello Stato. Il termine “penati”, deriva dal latino "penas” che significa: "tutto quello di cui gli uomini si nutrono"; può darsi, quindi,  che furono così denominati per il fatto che venivano collocati nel penitus, la parte più interna della casa, dove veniva conservato il cibo. Si tratta di divinità domestiche le quali sono l’emblema della famiglia. Ciascun nucleo familiare conservava e venerava i propri, trasmettendone il culto per via ereditaria assieme ai beni patrimoniali. Forse in origine si trattò della rappresentazione dei capostipiti della famiglia, cliché di divinità gentilizie. La funzione degli dèi Penati, all'interno delle case, è simile a quella di Vesta, in quanto, la loro influenza è rivolta alla protezione delle are e dei focolari e alla sorveglianza dell'intimità dell’abitazione. Il loro culto prevedeva sia sacrifici quotidiani che occasionali. Queste divinità,  sono esseri spirituali simili agli angeli custodi del Cristianesimo e si dividono in Penati familiari o minori e Penati pubblici o maggiori, che sono quelli dello Stato. I Penati pubblici erano venerati sia in Roma che in un tempio sulla Velia e talvolta erano identificati con i Dioscuri; il loro culto era associato a quello di Vesta. Nell'assumere e nel rimettere la propria carica, i consoli romani erano tenuti a celebrare un sacrificio a Lavinio in onore dei Penati pubblici e a loro volta, i magistrati della città prestavano giuramento in viso ad essi. E’ conosciuto un culto pubblico dei Penati della famiglia di Enea, Penati maggiori, in quanto si riteneva che Roma fosse stata edificata da stirpe eneade; in onore di essi, era stato costruito un tempio sul colle Palatino dove erano rappresentati come due giovani seduti. 

domenica 16 aprile 2017

Tiche, la dea Fortuna

Antonia Calabrese 
Tiche, la dea Fortuna (2010) 
tempera e acrilico a gouache su tela cm. 40×50
Collezione privata

Dea della fortuna, del destino e del caso, denominata Tiche (Tyche) in Grecia e Fortuna dai Romani, aveva ricevuto da Zeus il potere di decidere della sorte dei mortali. I Romani la consideravano apportatrice di fertilità e le attribuirono per figlia la Necessità. Si ritiene anche che la immaginassero con una doppia indole, una intraprendente e l'altra erotica, in ogni caso, sempre benefica. Da Omero, Tiche viene citata nell'inno alla dea Demetra, in cui si afferma che è figlia del titano Oceano e della titanide Teti; diversamente, altre versioni la definiscono figlia di Afrodite ed Hermes oppure, di Zeus. E’, ad ogni modo, la personificazione del caso fortuito, tanto nella buona quanto nella cattiva sorte; ma, a differenza delle Moire e di Sors (la Sorte) è una divinità benevola e il suo intervento è sempre positivo. Ogni città greca aveva una propria rappresentazione della dea Tiche, effigiata con una corona turrita sul capo che simboleggiava le mura delle città e con in mano dei simboli bene auguranti. Infatti, la Tiche greca, era protettrice e custode della prosperità delle città e degli stati ed era inizialmente onorata quale patrona del benessere pubblico. Solo più tardi le fu attribuito il ruolo di protettrice della felicità privata e, più tardi ancora, fu identificata col destino. A Tiche, come a Fortuna, si attribuiva la capacità di decidere la ventura sia dei singoli cittadini che della collettività e di dominare gli eventi  travolgenti le azioni umane. 
Secondo la mitologia greca, Ella concede ad alcuni i doni contenuti nella cornucopia ma ad altri nega addirittura il necessario. Tiche, però, agisce inconsapevolmente e non è perseguibile per le sue decisioni in quanto si muove velocemente qui vicino, e da noi distante, facendo rimbalzare la sua palla, a dimostrazione che la sorte è realtà oggettiva ma incerta. Ella, non sceglie qualcuno in particolare perché si muove casualmente ed inconsapevolmente. Però, se avviene che alcuno che Ella abbia favorito, si vanti delle sue fortune trascurando di ringraziare e sacrificarne parte agli dei, ovvero, non ne faccia uso a beneficio altrui e non se ne serva per confortare le sofferenze dei suoi concittadini, egli subitaneamente incorre nella vendetta dell'antica dea Nemesi. Ciò insegna ad interrogarsi sulla ragione della mutata sorte. A differenza della maggioranza delle divinità greche e romane, non le si attribuirono dei miti, eccezion sia la leggenda romana che, attribuendo l’introduzione del suo culto a Roma a Servo Tullio, il re che più, fra tutti, fu favorito dalla Fortuna, racconta che la Dea lo avesse amato, benché mortale, e che solea fargli visita penetrando attraverso una stretta finestrella. Nonostante le fu tributato il massimo culto in epoca ellenistica, il concetto che le si associa sopravvive ai giorni nostri. Già anticamente Tiche, la dea Fortuna, veniva definita la “cieca padrona della sorte”nel senso che oggi si parla di “fortuna cieca” o di “dea bendata”. In origine, tuttavia, non si attribuiva casualità all'operare della Dea, ma si riteneva che Ella distribuisse gioia o dolore secondo una giusta misura, per cui, per “nemesi” si deve intendere quell'evento o situazione negativa che segue ad un periodo particolarmente fortunato, e ciò, per ragioni di equità compensatrice che il Fato dispensa.